La forra di Ponte Alto è un luogo di straordinaria suggestione paesaggistica.
Un tempo il Fersina, dopo aver percorso la Val dei Mocheni, si dirigeva verso sud-est lungo la Valsugana e confluiva nel Lago di Caldonazzo.
Circa 7000 anni fa i detriti depositati dai ghiacciai, in ritiro dopo la fine dell’ultima glaciazione, si accumularono in un conoide che dalla Vigolana scendeva verso la piana di Pergine, creando una “diga” che costrinse il Fersina verso ovest, nel suo corso attuale. Il torrente ha quindi dovuto farsi strada erodendo strati di rocce calcaree depositate nel corso di ben 140 Milioni di anni (perlopiù Scaglia Rossa), fino a creare una forra profonda un centinaio di metri che separa le pendici del Monte Celva da quelle del Calisio. L’incisione in taluni punti si restringe in modo impressionante; dall’alto non si riesce a tratti a vederne il fondo in quanto il torrente ha scavato anche sui fianchi, spostandosi di lato.
Scendendo nella forra, nei pochi punti accessibili, ci si immerge in un mondo cupo e ombroso, saturo di umidità. Qua e là, su qualche balza, crescono gli ultimi alberelli e isolati esemplari di tasso, miracolosamente abbarbicati. Sulle pareti strapiombanti, fradice per lo stillicidio, si sviluppano delicati tappeti di capelvenere e cuscini di lingua di cervo, una splendida e rara felce, con lunghe foglie verdissime e lucide. Incuranti del frastuono prodotto dal torrente vorticoso, il merlo acquaiolo e la ballerina gialla fanno la spola in cerca di cibo tra gli spruzzi incessanti.